Elisabetta, figlia mia, adorata, se indietro, al 1973, tornar potessi, ……..!

(Il sottoscritto, nella chiesetta di Prepo, Perugia, tenendo in braccio la pargoletta, il giorno del suo battesimo.

Nota circa il “matrimonio”:

l’unica, buona, azione di don Peppe Gioia, in quel falso in Atto pubblico, in quanto ci stavamo sposando, sì, cristianamente (???: ma se in primo luogo ignoravamo del tutto il significato del termine matrimonio: mater munus, cioè dono della madre, e qual dono avvelenato, alla luce dei successivi avvenimenti, e poi cristiano, per due “posseduti” com’eravamo??), ma non tuttavia uniti per lo Stato, fu quello di mettere nero su bianco che non fossimo fatti l’uno per l’altra, aggravando il tutto con la mia dichiarazione circa la sostanza per cui intraprendevo tale passo solo per la figlia/figlio, ma che alla prima occasione me la sarei data a gambe.

Il verbalizzato, nel 1989, contribuì a velocizzare presso il Tribunale ecclesiastico la Sentenza di matrimonio MAI contratto:

e così fu, così era stato!).

Papà, eh, sì, ti assumesti le tue responsabilità, però fino ad un certo punto ……… !

Questa fu non molti mesi orsono la frase con cui Elisabetta, classe 1973, 16 settembre, metaforicamente, ma non troppo, mi piantò un gelido chiodo dritto al cuore.

La risposta, pur se edulcorata assai, considerato che la mia bimbetta affonda i suoi jab, ma incassa affatto, non si fece attendere, anche se non sano’ punto la ferita infertami.

Ora, non sarò stato il migliore dei papà sulla faccia della terra, ma provatevi ad infilarvi nei miei panni di diciannovenne (Elisabetta nacque un po’ meno di due mesi prima che io compissi vent’anni, da lì a venire il 04 di novembre).

(babbo Gennaro, Natale 1973, con in braccio Elisabetta)

Matricola di Giurisprudenza, con appena due esami all’attivo, Istituzioni di Diritto Romano ed Economia Politica, senza una lira bucata in tasca, impantanato in una storiaccia familiare che non vi dico.

Come dimenticare, per di più, che io e Paolo Signa, all’epoca figlio del titolare dell’omonimo albergo sito in Corso Cavour, studentelli sbarbatelli, venivamo puntualmente lasciati da soli ad accudire Elisabetta in fasce, intanto che la di lei madre terminasse il 5° Scientifico e la mia, adorata, superlativa, “suocera”, pensionata di lusso, se ne andasse a zonzo?

Eh, sì, perché gli “accordi” furono che l’impegno genitoriale non mi avrebbe dovuto distrarre dagli studi.

Ossia che la “vecchia” avrebbe badato alla neonata e il mio, stupendo, cognato, degnissimo di fede, ci avrebbe mantenuti fino al termine del corso di laurea.

Testimone attendibile Paolo Signa, poc’anzi ricordavo, il mio compagno di studio, il quale, al momento della “pappa” (ogni 4/5 ore), preparava un biberon di latte in polvere, mentre io le raschiavo la mxxda dal pannolino in tela, poiché cinquant’anni fa non esistevano quelli a perdere, quindi prendendola in collo, dandole da mangiare.

(babbo Gennaro e mamma Iolanda, al 1° compleanno di Elisabetta).

Franco, il mio cognato (cognato?: mio non di certo, ma di chi, dunque, se non di Belzebù?!?!?), seriosamente assiso nella penombra del salotto di casa di sua madre, parmi di distinguerlo ancora, dopo avermi minacciato, entrambi, di impedirmi di vedere il nascituro/nascitura (allora, comunque, non esistevano ecografie di sorta) e di tornarsene a Roma (che sbaglio aver abboccato in maniera così grossolana, perché mai sarebbero tornati al Prenestino o da dove cavolo provenissero), mi blandì, assicurandomi il mantenimento, assieme ai miei genitori.

Tutto ciò che, invece, da lui ottenni, essendo egli , congiuntamente a Tomassini Giancarlo, affermato concessionario Zanussi elettrodomestici, una radio con mangianastri, senza meno omaggiatagli dalla Ditta, sine alicuo dubie non pagata.

E poi affermavano che lo stxxnzo, il matto, il fuori di testa, fossi io.

L’animaccia de’ li mortacci loro“, sussurrano in quel della Capitale.

Nel 1974, figlia o non figlia, presi il coraggio a due mani e me ne andai di casa.

Già lavoravo in qualità di impiegato tecnico amministrativo in C.R.E.A. (Costruzione, riordino, esercizio, acquedotti) e mi sentivo un po’ più sicuro, felice di essermi liberato dalle catene di una prigionia infernale.

Duro’ poco il sogno.

I miei genitori, che avevano sempre schifato, e a ragione, quella gente, mi trovarono un appartamentino nel quartiere di Madonna Alta, ai tempi estrema periferia di Perugia, combinando il peggior disastro della loro e della mia vita:

mi convinsero a tornare sui miei passi:

una colossale sciocchezza da Guinness dei primati!!!!

Proseguimmo, barcollando, per altri 5 anni, fra botte, urla belluine, parolacce, bestemmie e minacce, sinché, pur di togliermi dalle palle quell’incudine infuocata, abbandonai un impiego da 15 mensilità annue, al pari dei dipendenti S.I.P., telefonia, e dei bancari.

Per i mediocri una pazzia, per me un’ascesa in Cielo, essendomi trasferito per conto della ditta Baldoni Macchine lavorazione legno con sede a Magione (Baldoni Orlando, figlio di una Raggiotti, e cugino di primo grado di quel “famoso” Guglielmo Raggiotti, padrone della Tatry Dewalt di Ellera Umbra e del Gherlinda, ne era l’unico titolare) nel quartiere di Casal Bertone, a Roma.

(22 maggio 1943, foto ricordo della nuova classe dirigente di Perugia, ragionieri, non altro, privilegiati, che avevano scansato il Fronte: Guglielmo Raggiotti, il secondo dalla sinistra, figlio di Ettore, che gli lasciò un gruzzolo non indifferente, anche alle spese di qualche parente).

A venticinque anni di età recuperai ciò che avevo tristemente perduto in quei sei anni trascorsi male, al cui posto avrei preferito sei anni di carcere duro, ve lo giuro.

Mi fidanzai e rifidanzai alcune volte, cercando di cancellare dalla mia mente le brutture patite, lavorando instancabilmente di giorno, intensamente godendomi Roma di notte, anche in compagnia del collega Paolo Fioroni, finché la dolce vita si interruppe, causa amministrazione controllata della Baldoni Macchine lavorazione legno, con quei cinici dei miei zii, Orlando e Guglielmo, che mi avevano inviato allo sbaraglio, ben sapendo che sarebbero dovuti rientrare della modica cifra di 20 miliardi delle vecchie lire, come in seguito mi certificó Sabatini, direttore del Medio Credito.

A febbraio 1980, però, già lavoravo a pieno regime per la Commerciale Centro di Franco Aglietti, un comunista milionario, e gettavo le basi per affrancarmi del tutto dal giogo familiare.

Carla S. di Villanova di Marsciano mi stava fornendo un ampio aiuto, ma non volevo liberarmi da un cappio (o un canchero???), per strozzarmi con un altro e, seppure a malincuore, le detti il benservito, intanto che la mamma di Elisabetta aveva incontrato l’autentico amore, quello vero, mica scherzi, alla barba di una certa Roberta, morta tragicamente in un terribile incidente stradale:

quando si dice il caso, pur se tragico!

Ossia, mors tua, vita mea!

Al netto della fine che patì la disgraziata Roberta aaaaaaaah, qual sollievo provai nello scampare a certe grinfie.

Storia a lieto esito per me, che la mia, adorata, Elisabetta apprezzò per nulla, non capendo che io e sua madre, fossimo rimasti nella stessa gabbia infuocata d’odio, per la sua famiglia, risentimento, per le false promesse e disprezzo, per la persona nella quale ero incappato, saremmo finiti l’uno al camposanto e l’altra in gattabuia o viceversa.

Son trascorsi più di quarant’anni, ma la ex pargoletta non mi ha ancora perdonato riguardo all’abbandono.

Giudice implacabile, che neppur mi conosce, ahinoi due, superando abbondantemente la soglia del ridicolo, valutando il mio operato, le mie conoscenze, le mie esperienze in qualsivoglia campo, ferocemente critica nei miei confronti, secondo il mio parere, e temo di sbagliare affatto, non ne ha azzeccata mezza in tema di rapporti affettivi, e con incommensurabile amor paterno sorvolo sulle qualità e attributi di certuni, mamma mia, contribuendo, inoltre, in maniera sostanziale, quanto esiziale, ad allontanare da me l’unico nipote a disposizione, Nicolò, che il prossimo 21 gennaio compirà 24 anni e di cui disconosco la sorte da tempo immemorabile.

Detto inter nos, e a scanso di sentimentalistici equivoci, me ne impipa meno che niente, e però…….!

Immaginate ‘sto geniaccio di mio nipote, che ha un solo nonno, io, e non gliene può fregare di meno, e che ha avuto due bisnonni, Gennaro, il mio babbo, morto oramai il 16 luglio 2013, che in rarissime occasioni onorò, e Iolanda, quasi 97enne, tuttora in vita, lucida, cosciente, e che ha visto l’ultima e unica volta in molti anni il 04 febbraio scorso, allorché, nella ricorrenza del suo compleanno numero 96, pagò a tutta la banda il pranzo al ristorante La Trinità!!!

Lasciamo stare, dai, se corrisponde al vero che ciascheduno raccoglierà ciò che seminò in vita sua.

Quello che so per certo è che, se tornassi indietro, ma, ahimè, non si può, non mi farei carico di un peso enorme, assurdo, che non mi corrispondeva.

Sacrificio mostruoso che assunsi sulle mie spalle per te, Elisabetta cara.

Per te soltanto.

E questo sotto i miei occhi è il risultato:

indifferenza distribuita a piene mani, a me, in prima persona, ma pure a tua nonna Iolanda.

Complimenti vivissimi, continua così!

Leandro Raggiotti

Emiliano Zapata, Morelos, México.

30 dicembre 2023