Su Olarusai Reyia, alias Dickson, il pastore-guerriero-cacciatore Maasai, e della mia “sete” di primordialita’!

Vvvvvvvvvvvvvvvv“.

“Stefano, avevi mai sentito un sasso lanciato in aria produrre questo vibrato, effetto boomerang?”.

“No, mai!”,

prorompendo in una risata, mi fa eco il mio ultimogenito.

E altri due consecutivi “Vvvvvvvvvvvvvvvv” attraversano il concerto notturno dedicatoci da buona parte degli animali del Maasai Mara Park, dal cui ingresso distiamo a nemmeno un tiro di schioppo.

Il punto è che cinque o sei Iene (la “capa”, non esagero, avrà pesato a occhio e croce 60/70 chili), che hanno seguito un Leone (o più Leoni?), ci stanno girovagando attorno, ben illuminate dal nostro “angelo custode” Olarusai Reyia, alias Dickson, a noi di ritorno da una cena consumata nel ristorante che si trova più in basso, ad un trecento metri di buio pesto come la pece, il quale le sta allontanando a suon di sassate lanciate con una energia fuori dal comune, producente detto ronzio, mentre uno spaurito cagnolino, il cui compito sarebbe la difesa di quei recinti delimitati da siepi di rami d’acacia con spine affilate come rasoi, lunghe assai, dove tentano di riposare trepidanti gli armenti, ci si appiccica addosso, scodinzolando, lanciandoci sguardi supplichevoli, meritevoli di ben più che una carezza.

Tale frenesia alimentare scatenata da un assalto notturno, prima che scendessimo giù al ristorante, ad uno stazzo in cui erano custoditi capi di bestiame, e dove una povera Vacca ha fatto le spese dell’incontenibile fame del ladrone Re Leone.

Assalto a Fort Apache, al nostro lodge, meglio detto, con le Iene che, non appena Olarusai Reyia, alias Dickson, ci ha lasciati, per correre da un’altra parte, ci hanno tormentato tutta la notte, raspando la “porta”, costituita da una zanzariera e da un telone, chiusi da due zip.

Al che, rendendomi conto che una delle opportuniste volesse recarci visita, mi sono alzato colpendo con energia la tenda con il Rhun, una via di mezzo tra daga e pugnale, lungo una quarantina di centimetri, sperando che se ne andasse, ottenendone invece un suo, inquietante, verso, come a dire che già ci andasse di lusso, che non avesse voglia di entrare per davvero.

Intanto che alle 02,30 precise il “criminale”, tornando sul luogo del delitto, ci lanciava un terrificante ruggito da far tremare i vetri del capannino.

Ah, che notte insonne e travolgente al contempo!

Bene, si fa per dire, ed andiamo ai nostri pastori-guerrieri-cacciatori reduci dalla rappresaglia contro il ladrone Re Leone.

L’immagine in video, il mio telefonino è poca cosa, lascia appena intravedere la metà della povera bestia, congiuntamente a tre zampe, al fegato, bene in evidenza al centro della carcassa, e alla testa, che i tre, incredibili, colleghi di Olarusai Reyia, alias Dickson, sono riusciti letteralmente a strappargli dalle fauci, essendosi lanciati come furie scatenate nel fitto della vegetazione, nella più totale oscurità, armati soltanto di Rhun, (so mica per certo si scriva così).

Domando loro se hanno ucciso il Leone, ricevendone una risposta negativa, ma le facce cupe mi suggeriscono che l’amico Fritz avrà vita breve:

un capo di bestiame, nella loro non florida economia, è un bene troppo prezioso per perderlo in siffatta maniera, magari con la recidiva di un predatore che si è abituato a “pasti facili”.

E pensare che quando arrivammo all’Oldarpoi Mara Camp allorché Tom, credo si chiamasse così l’incaricato dell’albergo che in seguito ci telefono’,

allertandoci sulla presenza del Leone (o più Leoni?) e facendomi sobbalzare dal divano dove ero bello e disteso in tutto relax di fronte al classico caminetto in creta del posto, e ci sconsiglio’ vivamente di recarci da soli a prendere la legna dalla catasta che si nota in foto al margine della macchia, ben evidente, dietro una specie di caldaietta per l’acqua calda (bollente, aggiungerei, e rugginosa e/o terrosa), pensammo che si trattasse del solito raccontino ad uso e consumo dei turisti:

sì, come no!

Il fatto era che fossimo immersi in pieno nella realtà di un parco, il Maasai Mara Park, senza steccati o recinzioni di sorta, dotato di un confine invisibile, che prede e predatori ignorano del tutto.

Ad una ventina di metri dal bosco della collina da cui, ce lo aveva avvisato anche la splendida Michelle alla reception, non appena consegnate le chiavi del nostro alloggiamento, sarebbe potuto scendere di tutto, Leoni, Leopardi, Iene, Babbuini, e dove insistono colonie di Babbuini, è noto, il Leopardo è onnipresente, e via via specie letali elencando.

E dire che avevamo deciso di trascorrere in tutta quiete l’ultimo giorno al Maasai Mara, giovedì 26 ottobre scorso, in compagnia di Mike (in foto alla sinistra, assieme al papà 89enne, alla destra, e allo zio paterno al centro), il figlio, uno dei 65 figli del reggitore di quel clan, “marito” di 9 mogli, per una visita al villaggio, popolato da 5 sole famiglie e comunque 250 componenti nell’insieme, che sorge lungo la strada principale, fatto di abitazioni tirate su dalle donne con letame, paglia, legna e creta, lontanamente immaginando che la stessa sera e notte si sarebbe riunito al completo il comitato fiere del Maasai Mara, per garantirci un gran commiato.

Donne infaticabili, voglio sottolineare, che provvedono ad ogni necessità, spostandosi di centinaia di metri al ruscello, per lavare i panni e far rifornimento di acqua,

come ci confermò Mike, all’incontrare una delle sue figlie, poco più che una bambina, con una tanica di 20 litri sulle spalle, mentre ne spingeva un’altra coi piedi!!!

Nel frattempo che tre giovani si addentravano sole, solette, nel bosco dove avrebbero potuto incontrare di tutto, armate, una di loro soltanto, ad onor del vero, di Panga, una sorta di roncola, mentre una delle due mogli di Mike ci incrociava nel cammino con sulle spalle una considerevole fascina di legni secchi.

Tutto mondo è paese e Mike, oltre a mostrarci con un certo orgoglio le cicatrici lasciategli da un Leone, si fa vanto pure delle bruciature di tizzone prodottegli sulla spalla

e sul braccio a ricordo, per ognuna di esse, di un’avventura amorosa, sostiene lui.

Declinato con amabilità l’invito a sorseggiare il tradizionale cocktail a base di latte e di sangue, zampillante dalla giugulare di un bovino, sganciati 40 $ a testa a Mike, che li passa d’immediato all’amministratore del villaggio, assicurandoci entrambi che andranno in un fondo destinato alla costruzione di scuole ed ospedali, ci accolgono in forma di benvenuto una quindicina di danzatori, alcuni zebrati, giovani celibi, altri no, perché già padri di famiglia, cui si aggiungono, ma soltanto in funzione di coro, quattro donne, che ci meravigliano con i loro incredibili zompi in alto, in pratica da fermi, trasmettendoci un chiaro messaggio di puro orgoglio, per ciò che si sentono d’essere, ovvero dei pastori-guerrieri-cacciatori.

Ringraziati i nostri ospiti, Mike ci conduce all’interno del villaggio, realizzato sul modello dei recinti per il bestiame, anch’esso, quindi, protetto da una fitta siepe di rami spinosi d’acacia, dotato di una stretta entrata.

L’atmosfera è molto festosa, perché questa giornata coincide con l’inizio delle vacanze scolastiche che dureranno per tre mesi e due settimane fino a gennaio.

Un gruppo vociante di bambini corre dietro il copertone di una ruota di motorino, mentre un capannello si forma attorno a noi, per mostrarci come si accenda il fuoco con uno stecchetto girato energicamente su un legnetto appoggiato sulla lama dell’onnipresente Rhun in dotazione a ciascun adulto.

La prima volta falliscono, provocando una risata generale, quindi ci riescono nella contentezza collettiva.

Infine passiamo all’interno di un’abitazione, costituita da 3 vani, appena 16 metri quadrati(?), in cui l’unico mobile e’ un tavolo, rimanendo incerti sul procedere, tanto si vede niente, provenendo dall’esterno, dove un sole accecante non ci ha dato requie:

reparto cucina, dove troviamo la signora Lidia, accucciata in terra, che sta preparando il pranzo su di uno stentato fuocherello;

la camera destinata ai figli, più quella dei genitori.

Non trovo il coraggio di chiedere a Mike, che non ci ha lasciati per un solo istante, dove soddisfino i loro bisogni corporali.

Nel salutarci, Mike allunga scherzosamente il deformato orecchio ad un suo cugino.

Come ultimo giorno ed ultima notte sugli altipiani del Maasai Mara, dove di notte fa freddo ed occorre ben coprirsi, non potevamo esigere di più e di meglio tra violente emozioni, esaltanti esperienze e terremotanti scrolloni alle nostre, rammollite, sicurezze occidentali, da 1° mondo:

che sarà poi tale?

Con quello sguardo da persona perbene, abituato al coraggio dell’abitudine a certe, pericolose, convivenze, con le quali in un attimo transiti dal ruolo di cacciatore a quello di cacciato (altro che andar a Beccacce, munito di un tromboncino e dispersanti, o dispensare una 7x65R ad un ignaro Cervide da una sicura altana!), Olarusai Reyia, alias Dickson, che mi ha ceduto per x.xxx scellini keniani il suo Rhun, mi ha scombussolato, rappresentandomi di una banalità insopportabile città e nazioni dove sono nato, cresciuto e trasferito, nonché il conseguente modus vivendi:

che sia nato nel luogo sbagliato?

Che il mantenere allora sempre viva una passione ancestrale come la caccia durante tutto il corso della mia esistenza, non sia stato altro che un mero tentativo di soddisfare la mia “sete” di primordialita’, trovata alfine in forma così pura in Olarusai Reyia, alias Dickson e nei suoi confratelli Maasai, i leggendari pastori-guerrieri-cacciatori?:

reputo proprio di sì, avendomi essi fornito la certezza dell’esattezza della desiderata risposta che attendevo da decenni, anche se è stato un gran peccato avervi, dunque, conosciuti così in ritardo,

Leandro Raggiotti

Emiliano Zapata , Morelos, México.

17 novembre 2023