Nel 10° anniversario della morte di babbo Gennaro: come un Rondone, andare, tornare, senza sosta, garrire, mai le zampe a terra toccare; ancora, riandare, ritornare, compiere una spola senza fine in un mondo privo di confine!

In braccio ad un ossuto babbo Gennaro, salito in alto oramai il 16 luglio di dieci anni fa, di fronte ad una sorridente mamma Iolanda, che teneva a bada un riottoso fratello maggiore, Leonardo, così inconsapevole eppur già ardeva nel mio cuoricino l’impulso di volar via.

Come un Rondone, dunque , babbo Gennaro, andare, tornare, senza sosta, garrire, mai le zampe a terra toccare; ancora, riandare, ritornare, compiere una spola senza fine in un mondo privo di confine.

Assente per nove mesi, quindi di repente, dalla metà d’aprile, tornando dall’Africa nera, ti condiziona ad alzar lo sguardo al cielo, obbligandoti gli angoli della bocca ad aprirsi in un sorriso all’udir quei versi striduli, insistenti, gioiosi, in un inseguirsi festoso, come un Rondone l’anima mia garriva stizzita contro il mio corpo ancorato a terra.

Ad ogni costo andare, sparire dai soliti orizzonti e scoprire cosa ci fosse al di là dell’invisibile.

Lasciar le braccia sicure di un genitore, camminare sulle proprie gambe, inciampare, cadere, rialzarsi, ma andare.

Via, in riva ad un qualsiasi mare.

Per tutta la mia esistenza, realizzare, per poi scombinare.

Immaginare che la felicità si trovasse in quel preciso luogo e scoprir d’immediato che fosse affatto là, dove io la considerassi.

E ricominciare, in un batter d’ali interminabile, faticoso, però galvanizzante, solo come un Rondone potrebbe intendere, alzandomi sul mio areale in cerchi concentrici.

In alto, sempre più in alto, nel blu assoluto.

Alfine nella notte scevra da limiti.

Chiudendo gli occhi, riposando, sognando luoghi mai visti, e lasciandomi andare in un ritorno in basso, all’indietro, sulla scia degli stessi cerchi concentrici percorsi all’insu’, stavolta senza un minimo battito, finalmente sollevato dalla fatica, allungando le ali in un dolce stiramento.

Agitato, guizzante, insofferente agli anelli ai piedi, zavorre strazianti quei richiami dei pulli nel nido che ti sferzano, affinché provveda loro il necessario cibo.

Assolto il compito, via ancora in alto anelando quel momento di luglio, sovente la terza settimana, in cui il garrire di botto cessa, subentra un profondo silenzio, e chi nemmeno s’avvedeva della tua presenza, può essere scopra, avverta, soffra la tua assenza.

Mi piace immaginare che anche per te così sia stato, babbo Gennaro.

Che come genitore, assolti i tuoi doveri, stanco per le tante complicate situazioni, arresoti per l’impossibilità di cambiar qualcosa, anche tu ti sia sentito alla mia maniera come un Rondone che, al calar della notte, senza un’aurora di risurrezione, chiuso il sipario della terrena esistenza, raggiunge il picco più alto del cielo che può, distende le sue ali, godendosi l’eterno riposo nell’infinito da ogni creatura meritato.

So mica e per certo se tu a questo abbia pensato, perché tanta è la fatica del vivere quotidiano, per cui ti scordi di possedere un paio di vigorose ali, le quali, comunque, non appena te ne accorgi, ti spingono per davvero dove vuoi tu.

Ignoro se tu, babbo Gennaro, imperscrutabile spesso nelle tue emozioni, fossi giunto alle mie stesse considerazioni.

Mi sforzo di immaginare, essendo stato tu, ragazzino in divisa, classe 1923, chiamato a muover una guerra immane a gente a te sconosciuta, potendo il tuo futuro divinare, se a quella data, ai tuoi diciannove anni, avresti mai in seguito, nemmeno un lustro dopo, scelto la via della genitorialità, della vita familiare.

Poco prima che tu per sempre chiudessi gli occhi, io una risposta, a prescindere, me la detti.

Ma non sarò qui a rivelarla di certo, accennando soltanto che alla mia di molto si somiglia.

Preferisco adesso, invece, immaginarci ad ali distese, riposate, palpebre serrate, mentre nel blu assoluto della notte estiva più bella dell’anno, non molto distanti l’uno dall’altro, tuttavia in morbidi, concentrici, volteggi, senza fatica e angosciosi pensieri, ci adagiamo nell’etere, la parte più alta, pura e luminosa dello spazio.

Giù, giù, senza clamori.

Inbozzolati nel sonno dei giusti.

Come innocenti Rondoni, insomma, babbo Gennaro, ma stavolta senza andare e tornare, solo incommensurabile quiete, in un inimmaginabile silenzio, in una continua discesa e mai atterrare.

Abbracciati con tenerezza da un’attesa, a volte dolorosa, sempre agognata, per tutta la vita dolcissima, materna, pace.

Leandro Raggiotti

16 luglio 2023

Emiliano Zapata , Morelos, México.