Don Tonone e quella sua fatal benedizione!

Don Tonone, il primo a sinistra in foto, camicia in stato di sofferenza, sul punto di lacerarsi, al secolo Antonio Sorci, magionese (di San Savino, ad onor del vero), tre preti in uno, gli rimproveravo io, sfottendolo, per la sua esagerata, assurda, massa corporea (150 kg??, o giù di lì), una sorta di “promozione” da decenni diffusa nel clero, prolassati e indiavolati, tra cui è più facile trovare un trippone che non un santone, un diabetico che non un ascetico.

Aiuto-parroco in quel di Case Bruciate, Perugia, coraggio inversamente proporzionale al volume, non riuscì mai ad inserirsi in quel ristretto contesto sociale, per cui non ebbi molto tempo a disposizione per dileggiarlo.

Forse, meglio detto, aiutarlo, ma non me lo concesse.

Chiuso in maniera ermetica, pareva temesse persino l’aria che con fatica respirava.

Mi tacciava di autistico, trovandomi sempre in movimento, con o senza Taz, su e giù per le erte cittadine, ricevendone in cambio delle pungenti risposte, ossia che fosse meglio tal condizione invece che ridotto formato obice, grosso e corto cannone.

Ma così sono i ciechi, parafrasando il Vangelo, Luca 6, 39-42, che pretendono condurre per mano chi (non) è nella loro identica situazione, terminando entrambi dentro un fosso!

Timoroso fino all’inverosimile, sentendosi sempre sotto giudizio, qualche giorno prima di una fredda Settimana Santa di qualche anno fa, giunse a casa mia per la benedizione pasquale.

Era di sabato e io e mia moglie Elsa eravamo tuttavia affaccendati nelle pulizie, allorché sentimmo trillare il campanello della porta principale, al livello stradale, di fronte al Conad City di quartiere.

Ciao, ben arrivato!“,

gli indirizzai, informandolo che sarebbe stato più conveniente assai non disturbare la vecchia lunatica accanto, pena un diluvio di bestemmie, maledizioni, imprecazioni.

Raccolse al volo il mio consiglio, entrando di sguincio dall’uscio, frisando il battente con il prominente ventre, lasciandolo in vibrazione per qualche istante.

Intimai a mia moglie di chiudere le porte dei bagni, ma ……, troppo tardi.

Dotato di una tipica originalità paesana, mi rispose asserendo che lui benediceva per ogni dove.

E così fece!

A quel punto, originalità per originalità, gli dissi:

E mo’ un piacere mi devi fare!“.

Dimmi!“,

fu la sua placida risposta.

Vieni, seguimi in terrazza!“,

indicandogli il cammino.

Giunti che fummo al limite, davanti al cancello dell’ingresso secondario, seguiti da Taz, gli mostrai le evidenti tracce di corrosione sul pavimento in gres, dovute alle abbondanti espettorazioni lanciateci quotidianamente dal tabagista Marcello, che dal terzo piano sputava ad ogni piè sospinto, al pari di un Lama, di un Cammello, pregandolo di immergere l’aspersorio nel secchiello e di distribuire per ogni dove l’acqua benedetta , anche all’insu’.

Fu in quel pacificator gesto che, alzando gli occhi al cielo, notò lo “sputacchione” appoggiato alla balaustra della terrazza, oscillando avanti e indietro, sul punto, può essere, di prodursi nell’ennesimo, vomitevole, “lancio”.

Abbassando lo sguardo immediatamente, mi salutò con fretta, agitato, ma oramai il dado, pardon l’anatema, era stato lanciato.

Di solito mattiniero, e se massimo alle 05,30 non ero già in cucina a prepararmi il caffè, Taz, lemme lemme, rispettoso al massimo, però ansioso di uscire, faceva capolino in camera da letto e se agitavo un piede fuori dalle coperte, iniziava una tenera lotta, finché non mi alzavo.

Insomma alle 07,00 di quella domenica mattina eravamo a passeggio chissà dove, felici come bambini, senza fastidi umani di sorta.

Alle 10,00 o poco piu’ di ritorno, con un velo di tristezza, come d’abitudine.

Elsa mi venne incontro con gli angoli della bocca che le arrivavano agli orecchi:

Te voy a contar algo, pero no te rías!“, sussurrò, sbirciando ai piani superiori.

La benedizione, o anatema, fate voi, aveva funzionato:

Eureka!“:

il problema “sputacchione” era stato soluzionato.

Poco prima che io e Taz tornassimo, infatti, un’ambulanza del 118 s’era fermata dinnanzi all’ingresso del palazzo e s’erano caricati in fretta e furia il povero signor Marcello, in mutande, neppure in pigiama, con tre donne in casa, coperto a malapena da un lenzuolo, con il freddo cane che imperversava, il quale l’indomani, meschino, fu operato:

alle 13,00 intervento riuscito, ma paziente “andato”!

Che ci volete fare?:

niente si può contro un crudel destino!

Mi precipitai dunque da don Tonone, grato all’inverosimile per il miracolo praticato.

Sgranando gli occhi, preoccupato che si sapesse in giro, mi scongiurò a mani giunte, che me lo tenessi per me, minacciando un capogiro.

Solennemente gli giurai che mai anima viva ne sarebbe stato informata, ma si sa della fragilità umana, soprattutto in casi come questo, dove un’opera di carità era stata praticata.

Triste evento bissato non molto tempo dopo, addirittura in seguito al ricovero in un ospizio, essendole la mente andata a spasso, dall’amabile vedova, solita, quando Lucrezia Valentina, la mia quartogenita, veniva riaccompagnata nel pulmino del Bucaneve , chiamare a raccolta la famiglia sul davanzale, per assistere all’arrivo dei “fenomeni”.

Grande, in ogni senso, don Tonone che si riscattò del tutto con quella sua fatal benedizione!

Leandro Raggiotti

Emiliano Zapata , Morelos, México.

31 agosto 2023